Lo zampirone, il diritto all’infanzia e la sinistra del Terzo Millennio
Due spirali abbracciate e quell’odore di vacanze, campeggio, corse nell’erba e tuffi dagli scogli. Lo zampirone è una delle poche Madeleine che lega i ricordi dei nonni a quelli dei nipoti passando per i figli. Neppure la coppa del Nonno ha lo stesso effetto.
Lo zampirone unisce il 900 ed il terzo millennio. Resiste alle start-up e all’IOT. Lo zampirone, la sua scomodità e la sua efficacia, resiste al tempo.
Tiene insieme le memorie olfattive. Quelle che scatenano quei sorrisi, pensandoci. Memorie olfattive di quando eravamo cellule totipotenti. Attraversati da quella fragile potenza dei sogni di cui ciascuno ha umanamente diritto. E di quelle estati di noia, zanzare, zampironi sotto il tavolo e un settembre che non arrivava mai.
Quel diritto all’infanzia che noi, generazioni post belliche, abbiamo avuto il privilegio di vivere. Un diritto all’infanzia che ha ridotto la mortalità infantile, il rachitismo da denutrizione, il lavoro minorile. Che ha introdotto il diritto all’istruzione, il diritto ad essere tutelato e protetto. Almeno in questa piccola parte di mondo
Siamo state le prime generazioni nella storia dell’umanità –sempre in questa piccola parte del mondo – prive di guerra e di distruzione. Siamo stati i primi bambini nati e cresciuti in pace. Che hanno passato estati annoiate respirando l’odore acre degli zampironi. Ciascuno, certo, con le sue storie individuali complesse, ma siamo stati una generazione di bambini cresciuti a fettine di carne e penicillina, dopo generazioni di diete vegetariane forzate e morti di bronchite infantile.
Quel diritto all’infanzia lo stiamo negando ad un’intera generazione mondiale. La prima veramente globale. I bambini di oggi avranno lo sguardo che noi gli daremo. I nostri bambini, i bambini degli altri.
Potrebbero essere una nuova umanità. Come potrebbero essere i primi uomini, di nuovo.
I primi uomini di 2001 Odissea nello Spazio
Sul diritto all’infanzia si gioca la partita. Nell’immensa, gigantesca diseguaglianza globale che rende alcune piccole parti del mondo appena meno ingiuste di altre. Che però sono responsabili di questa immensa, gigantesca diseguaglianza globale.
E non si tratta di “occidente contro il resto del mondo”.
Perché le isole di privilegio convivono, anche qui, con gli arcipelaghi delle diseguaglianze. Enormi, ingiuste, immense. Stanno nelle povertà educative, nella deprivazione sociale e materiale. Stanno nel diverso peso dei sogni.. nel diritto alle memorie olfattive ed ai sorrisi, pensandoci.
Il rapporto Oxfam del 2017 afferma che l’80% della ricchezza mondiale è in mano all’1% della popolazione. L’enorme, immensa diseguaglianza è geografica (in alcune parti del mondo, le nostre, è distribuita in modo un po’ meno ingiusto; in altre è totale, divaricata, immensa) ed è globale, trasversale. Sta negli sfridi marginali delle nostre città, delle nostre aree interne. Sta nelle periferie urbane delle grandi città europee, negli slum delle megalopoli mondiali. Sta a casa nostra e a casa degli altri.
Che gigantesco, enorme campo aperto della sinistra internazionale sarebbe ribaltare i paradigmi e ripensare alla giustizia sociale: redistribuire ricchezza globale ripensando all’idea di progresso. Ridisegnare un Tèlos su cui rifondare un’idea di uguaglianza. Ridefinendo le architetture del potere globale, ripensando globalmente alle classi e alla democrazia.
Ripensare, globalmente, un’idea di società. Portandoci dietro, globalmente, ciò che di straordinario abbiamo conquistato nei secoli dei secoli: “ libertà, uguaglianza e fraternità”. Quell’identità europea che, diceva Verlaine, si fonda sul tre pilastri: “ragione giustizia e carità”. Quella a cui stiamo rinunciando per paura di allargare lo sguardo.
Riprendere in mano le parole e ridargli senso. Globale.
Questo sarebbe l’enorme responsabilità della sinistra internazionale, europea, italiana: ripensare al mondo e volerlo più giusto per tutti. Capendo il dettaglio, però. Cambiando i paradigmi e costringendo al cambiamento. Uscendo dalle retoriche e dalle liturgie. Ricercando strade nuove sapendo, come insegnava Turati, “che in politica l’unica strada corta è quella lunga”
Ricostruire il campo della sinistra mondiale ripartendo dal diritto all’infanzia significa ripensare alla responsabilità ambientale, all’uso ed alla proprietà delle risorse naturali, ai modelli di produzione, alla qualità delle infrastrutture materiali e sociali su cui investire. Significa affrontare il tema del diritto alla mobilità, fisica e sociale. Significa andare oltre le agende delle Istituzioni internazionali – lucidissime quanto amaramente inutili – e farle diventare carne, modello di società, politiche, parole d’ordine. Significa ripensare alle forme di sviluppo economico e territoriale, tenere insieme città e campagne, falansteri ereditati dal ‘900 urbanizzato e aree interne spopolate e impoverite. Significa ricostruire quell’universalità dei diritti su cui si è fondata l’idea di sinistra, nelle sue varie forme, del ‘900.
Perchè la sinistra mondiale dei secoli scorsi il mondo ha provato ad immaginarselo. Magari sbagliando, talvolta, ma un’idea di mondo da raccontare e far capire ce l’ha avuta. Massimalista o riformista, ma ce l’ha avuta.
Non c’è sinistra nel sovranismo delle piccole patrie, perché non ci sono leve sovrane per agire sulle disuguaglianze locali prodotte dalla diseguaglianza globale. Soltanto il ripensamento di nuove architetture istituzionali e nuove parole d’ordine globali – che tengano insieme i proletari di tutto il mondo uniti, come ci diceva Carletto – possono generare una prospettiva meno barbara di questo eterno presente.
In tutto questo, lo zampirone brucia sul balcone e continuerà a farlo. E respirandolo – grazie forse al suo effetto drogante – penso che non sarebbe difficile farlo: creare le condizioni per far crescere un’umanità migliore.
Come facevano i bambini polacchi descritti da Romain Gary nel suo meraviglioso canto all’Europa, “Educazione Europea” del 1945.
Nascosti nella foresta immaginavano come sarebbe stato finita la guerra, il nazismo, l’Olocausto.
Ci insegneranno ad amare – dicevano – apriranno delle scuole dove ci insegneranno ad amare. Insegneranno ad amare anche a chi odia, così la smetterà di odiare.
Il diritto all’infanzia. Appunto. E ad immaginare delle scuole che insegnano ad amare. Gli era stato promesso.