delle sardine, la politica e la generosità
Le #sardine mi piacciono. Giro l’Italia, passo il mio tempo a parlare di politica con chi politica non la fa. Neanche io faccio più politica. Quella dura, quella dentro. Alla domanda “ma tu, sei ancora in politica?” rispondo con imbarazzo e fatica “agisco politicamente, come tutti noi”. Mi occupo di territori, di comunità fragili, di innovazione sociale. Intercetto passioni, comunità di desideri. Allargo le braccia quando mi chiedono di disegnare strade di senso. Me lo chiedono, perché sono una ragazza del ‘900 cresciuta dentro un’idea di militanza che intrepretava il dentro/fuori dalle organizzazioni della politica come prospettiva di cambiamento. Ora, non so. Sono disarmata e distratta. Mi sembra che le questioni siano altre, altrove. Non dentro le organizzazioni della politica, che faticano a darsi forma e prospettiva. Non mi assolvo: appartengo ad una generazione che ha, tra le tante, la responsabilità di non aver saputo costringere i fratelli maggiori ad essere meno stronzi. Appartengo ad una generazione di arrivati tardi, appena dopo e appena prima. Incapaci di scendere in campo quando i titolari, quelli appena più grandi, sembravano così certi della fine della Storia da dimenticarsi la rivoluzione. Noi 50 enni siamo la generazione che ha celebrato funerali senza conoscere il morto. Ci siamo convinti che parare i colpi dell’ineguaglianza mettendo tacconi ad una globalizzazione feroce sarebbe stata una strada possibile. Riformisti nell’accettazione del paradigma, del mainstream che celebrava la modernità come spinta verso la competizione globale. Il blairismo degli anni ’90 (è triste rispolverarlo adesso. Antistorico e totalmente inattuale). Ne vedevamo le crepe: quelli come me stavano nei movimenti no-global ammazzati a Genova, 20 anni fa. Non ne condividevamo alcuni aspetti di radicalità, ma ne riconoscevamo l’intuizione. Sapevamo che la critica radicale al sistema aveva elementi costitutivi del disegno di una nuova sinistra. Ma abbiamo avuto pudore e ci siamo convinti che, tutto sommato, bisognava stare dentro i processi, provare a rendere meno ingiusti gli effetti. Timidi, poco incisivi, senza respiro. Le #sardine mi piacciono perché non hanno nulla a che vedere con la mia storia. Sono sovversivi, perché usano un altro linguaggio. Che mi stupisce e mi incanta. Perché è sovversivo rispetto ai paradigmi che io stessa ho introiettato. Le #sardine agiscono su un piano emozionale e usano linguaggi contemporanei. Chiunque voglia costruirci parabole politiciste fa fatica e forse non si confronta con una generazione che se ne fotte. Di noi, del nostro novecentesco apparato weberiano che riporta tutto ad una visione funzionalista della politica. Le #sardine sono una generazione che degli schemi classici non sa che farsene. Sono i ragazzi di #Friday_for_future. Quelli che cercano visioni di società che li renda più liberi, più connessi, più aderenti ad uno sviluppo sostenibile, capace di mitigare le diseguaglianze. Hanno bisogno di politica: quella possiamo regalargliela noi, che siamo cresciuti dentro le organizzazioni della politica e sappiamo come costruire cornici di senso. La mia generazione di arrivati tardi può mettersi a disposizione cercando di farsi perdonare della timidezza e del conformismo. Noi, gli arrivati tardi, possiamo trasformarci in vivandieri: possiamo nutrire passioni che saranno loro, i giovanissimi, a trasformare in politica. Dando loro linguaggio e parole che servono, per non morire di istantaneità, di “qui e ora” che dilapida patrimoni, che ammazza la costruzione di futuro. Noi, i 50 enni appassionati, non siamo #sardine ma possiamo metterci a disposizione perché le #sardine non vengano sbranate dai pescecani. Dando loro due dritte, senza metterci il cappello. Perché loro sanno in che mondo vorrebbero vivere. Che non è questo. Noi siamo i loro padri e le loro madri. Stiamo zitti e parliamo con loro quando la notte si fa buia e bisogna capire come andare avanti il giorno dopo. Zitti, in silenzio. Con generosità. Che è quella che i nostri fratelli maggiori non hanno avuto. Mettiamoci a disposizione, riscattando la nostra ignavia. Ascoltiamoli, stiamo nelle retrovie accogliendoli quando ritornano affamati. Nutriamoli, diamo loro le parole con cui siamo cresciuti. Massaggiamogli i muscoli e facciamoli scendere in campo. Aiutiamoli a riscostruire un campo, quello della politica, che gli è stato sottratto.