23
Mar
2011
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Una mia recensione su “A Lampedusa, gli affari, le vite umane e la sconfitta”

Protagonista di questo reportage, scritto da due giornalisti che non rinunciano alla fatica dell’inchiesta e dell’approfondimento, è Lampedusa. Isola percorsa dai venti del Mediterraneo, a metà strada tra l’Africa e l’Europa, lembo dimenticato di roccia e spiagge. Illusa cicatrice di un’Europa che ha smarrito il senso della sua civitas e misura con il compasso la proprietà del mare e delle sue acque.

Lampedusa e gli sbarchi: spiagge affollate di turisti e poco più in là laceri tronchi di umanità in fuga, che se non galleggiano affondano e con loro l’etica, l’accoglienza, i diritti.

Il reportage ha il pregio di “mettere in fila” una cronaca che a noi del continente arriva a singhiozzo, quando l’ennesima emergenza degli sbarchi buca la cronaca locale per diventare notizia della sera. Tra una notizia e l’altra, si perde il senso della complessità e delle contraddizioni che a Lampedusa durano da sempre.

Ci sono le storie dei moderni naufraghi, spaesati e frastornati, sopravvissuti all’inferno, lacerati di ferite e di occhi persi nel ricordo. Ci sono i sogni di chi vorrebbe ricominciare ad  avere, semplicemente e umanamente, un’altra chance. Uscendo dal recinto del mare per abbracciare la libertà dalla paura.

Poi, ci sono le storie degli isolani che si sono sentiti raccontare le mirabili sorti di progetti di sviluppo, di infrastrutture e ricchezza. E tirano le reti nelle quali inciampano cadaveri che rotolano sulla battigia e vengono accolti nel silenzio.  Ci sono le storie di straordinaria solidarietà, di profughi che scappano dal centro di permanenza e vengono accolti nelle case. C’è l’empatia della gente del mare, che si arrabbia con chi comanda ma non sa odiare chi fugge.

Ci sono i turisti, e l’economia che gli gira intorno: i tronchi di vita scaricati dal mare non è bene che si vedano, perché il raccapriccio potrebbe turbare la spensierata stagione delle vacanze.

Poi c’è lui, il centro di permanenza: infrastruttura in cui si sono sparsi fiumi di danaro e non si capisce bene dove siano andati. Intrecci di interessi, mani rapaci, promesse non mantenute, cupidi occhi che vogliono metterci le mani sopra. Pieno fino a strabordare, con i panni stesi sulle inferriate di una prigione con nulla intorno. Popolato da uomini e donne stanchi: i controllori e i controllati accomunati dalla stanchezza di non sapere come andrà a finire.

C’è il sindaco che tuona contro il Governo e la gestione delle risorse. Ci sono le indagini e le condanne per corruzione, concussione, abusivismo edilizio: la miseria amorale di chi usa la vita umana e il territorio per fare affari..

Ci sono i funzionari ministeriali, gli addetti alla sicurezza e al controllo, gli operatori umanitari, l’UNCHR, le ONG,  i medici e gli operatori sanitari. I documenti, la burocrazia, gli interpreti, gli aerei che partono e smistano i sopravvissuti da altre parti.

Da un po’ di tempo di Lampedusa non si sente più parlare: le emergenze degli sbarchi non ci sono più. Miracolosamente rigettati e respinti dall’altra parte del mare, o nei suoi fondali.

Lampedusa continua ad essere la  cicatrice d’Europa, sconfitta e dimenticata. Sanfilippo e Scialoja ci ricordano che il silenzio di oggi è un rumore semplicemente rimandato o rimosso. Un fragore che si infrange nelle onde di un mare diventato galera.

marzo 2010

A distanza di un anno da questo racconto, oggi di Lampedusa si torna a parlare. E sul bagnasciuga tornano i cadaveri di chi sognava la libertà.

 

 

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