Periferie: la nostra frontiera di umanità
Domani si apre. E’ un negozio, piccolo. Con una vetrina, piccola. In corso Giulio Cesare 93. Un punto logistico da cui partire nel mare aperto della città. Un porto, un riparo, un posto dove caricare energie e materiali. Un posto dove entrare e chiacchierare, magari imbustando qualcosa o preparando pacchetti di carta.
Corso Giulio Cesare 93: segnatevelo. Ci troverete Souad e Viviana, giovani e gentili. Ci saranno Giorgia, Valter e Marco con il suo furgone. Giovani di Torino che mettono a disposizione il loro tempo per aiutarmi a navigare. Insieme ad altri che conoscono il mare e i suoi fondali, che sanno usare il sestante, che conoscono le reti e sanno dove gettarle.
Si parte e si naviga nel mare aperto della città, nelle sue contraddizioni e nelle sue fatiche. Insieme alle molte persone con cui in questi anni ho condiviso discussioni, visioni, prospettive, idee.
Corso Giulio Cesare 93: nel cuore di Barriera di Milano, ad un tiro di schioppo dal Balon e da Porta Palazzo. Con tutto l’amore che ho per Torino tutta intera e per tutti i suoi territori, confesso la mia debolezza per questa parte di città.
Ma mi smentisco appena lo scrivo: perché dovrei anche parlare di Falchera, Lucento, Borgo San Paolo, Mirafiori, San Salvario, Aurora e Vanchiglia, dove abito.
In realtà dovrei citarli tutti e 23 i quartieri della città.
Perché ognuno di loro ha un’anima ben definita: un insieme di persone, realtà, luoghi che li rendono unici, diversi e uguali nello stesso tempo. Chi parla di periferie in modo generico forse non le conosce davvero. Se si mette l’orecchio per terra, come i pellerossa, si sente il rumore di una città che cresce, fa fatica, si arrabbia ma non rinuncia alla sua capacità di costruire futuro e di interrogarsi sul mondo. Con tutti i limiti, la difficoltà e l’ansia possibili, certo. Ma anche con tutta l’energia, la competenza e la capacità di interpretarlo, il mondo. Qui, ora. Sul marciapiede, mica nei salotti televisivi.
Per Porta Palazzo, il Balon e Barriera nutro una gratitudine particolare, però: sono state le mie palestre di umanità. Luoghi dove c’è tutto e anche il suo contrario. Prismi dalle mille facce, sono quartieri dove la semplificazione non vale. Dove le luci e le ombre si rincorrono, dove il bianco e il nero si sfumano in mille gradazioni di grigio. Sono luoghi dove si fa fatica ma ci si conosce per nome. Dove si urla e si discute. Dove si inventa un nuovo modo di vivere la città. Dove il futuro non ha tempo di aspettare, perché le soluzioni si devono cercare subito. Adesso. Che siano capaci di includere, di allargare la rete, di tenere insieme e di far crescere una comunità locale.
Quindi il mio porto sarà lì.
Perché non era ancora alzata la serranda che già i vicini si incuriosivano. “Aprite un negozio?”. “ No, non è un negozio. E’…si, signora, è un negozio”. Un negozio di politica, dove non si vende nulla ma si può entrare e regalare idee. Dove si possono lasciare biglietti, appunti, pensieri. Dove si può dare una mano se si ha voglia e tempo.
Da lì partiremo e io cercherò di raccontarlo, questo viaggio. Usando le parole. Scommettendo sul futuro, imbarcando le persone che lo vorranno.
Perché il mare è sempre stato libertà e orizzonti lunghi. A maggior ragione oggi vale ricordarlo. Oggi che il nostro mare, quel Mediterraneo culla di civiltà, è la frontiera che separa il sogno dalla paura.
Senza orizzonti lunghi anche la politica vale poco. Proviamoci