Parte Urban 3, per Barriera di Milano: spiegate a Maroni che l’Europa non serve solo a misurare cetrioli
Urban3 in realtà si chiama PISU (Piano Integrato Sviluppo Urbano). Come chiamarsi Asdrubale: se gli amici ti chiamano Chicco tiri un sospiro di sollievo. E’ un programma integrato di rigenerazione urbana di Barriera di Milano. Detto in altro modo: è un programma che si occupa di riqualificare la parte fisica, economica, sociale e culturale del quartiere. Detto ancora meglio: è un’occasione straordinaria per rimettere in sesto Barriera nei prossimi 4 anni. Lo chiamiamo “Urban3 – Barriera di Milano” perché PISU è come Asdrubale, appunto.
A Torino il nome URBAN evoca cose belle. Facciamo un passo indietro, però. Non troppo, ma solo per capire. A metà degli anni ’90 l’Unione Europea lanciò una serie di programmi per intervenire nei quartieri in crisi delle città. Fu la consapevolezza che “l’80% degli abitanti europei abitano nelle zone urbane e che nelle città si concentrano le maggiori ricchezze e le maggiori povertà del continente” che spinse l’Europa ad intervenire con risorse significative direttamente sulle città. La politica urbana non è una politica europea: furono gli Stati Membri a non volerla inserire nei Trattati Europei. Fu una battaglia persa, allora, dalle Autorità Locali e dalle reti di città. Gli Stati Membri non vollero rinunciare ad una sovranità e ad un controllo sulle città, diciamocelo con chiarezza.
L’Europa però lanciò, dentro la sua politica di coesione regionale, il programma Urban (anche il PPU, che a Torino interessò Porta Palazzo con The Gate nel 1997… ma non complichiamo le cose). Vale a dire fondi europei da usare nei quartieri in crisi delle città per intervenire in modo integrato non solo sulla parte fisica e strutturale ma anche su quella sociale, culturale e di sviluppo economico.
Chi si occupa – come me per professione – di programmi europei, sa che dietro queste parole c’è un gergo incomprensibile ai più. Indicatori, requisiti, eleggibilità, regolamenti, scadenze, rendicontazioni, stati d’avanzamento, controlli, audit finanziari. Poco importa. La macchina è complicata ma serve ad intervenire sui territori. E a far succedere delle cose che altrimenti non succederebbero, forse.
Perché bisogna anche dire che l’Italia è uno dei pochissimi paesi comunitari a non avere politiche nazionali sulle città. In Francia hanno da decenni addirittura un ministero dedicato, la DIV (Division Intèrministerielle à la Ville). Noi no: le pochissime iniziative promosse in questi 15 anni sono del Ministero delle Infrastrutture. Poco male, si dirà. E’ che tra lo Stretto di Messina e Barriera di Milano, Tor Pignatara o la Bovisa diciamo che l’attenzione non va a questi ultimi. E dire che con i soldi del progetto del Ponte mai iniziato si sarebbero finanziati interventi in decine di quartieri in tutte le città.
Sono sempre state briciole, ma ora non ci sono più nemmeno quelle. Sulle città, i quartieri, gli alloggi e le case non ci sono politiche, finanziamenti, risorse significative se non quelle locali. C’è stata una stagione di Contratti di Quartiere e di PRU (e Torino ne ha sviluppati 7, di cui parleremo) ma la linfa si è prosciugata presto. Dal 2008 sono stati azzerati. Nel senso di zero.
Quando l’Europa lanciò i programmi Urban, Torino si organizzò e vinse i finanziamenti. Anzi: è la città italiana che ha più utilizzato i fondi europei. Perché l’Europa non dà soldi a pioggia e non è un bancomat: bisogna meritarseli. Fare progetti, competere con le altre città europee, essere credibili, fare le cose perbene. In genere vince il migliore. I controlli sono moltissimi, anche durante la vita del progetto: comitati di controllo, visite a sorpresa di auditor severi, centinaia di pagine di rendicontazione al centesimo.
L’Europa, a noi, ha insegnato a progettare e a gestire la complessità degli interventi. Nel 1998 il progetto The Gate a Porta Palazzo fu classificato primo tra più di 200 progetti europei. Ne furono finanziati 26 in tutto. Urban Mirafiori Nord è considerato in Europa uno dei migliori progetti sviluppati, e ne sono stati finanziati 216 in tutto.
Nel 2007 l’Europa dichiarò che era finita la fase sperimentale: ora gli Stati membri e le Regioni dovevano programmare interventi sulle città in modo ordinario. I Fondi Strutturali Europei – anche nella parte che riguardava le città – sarebbero stati gestiti direttamente dalle Regioni. Un disastro. Pochissime Autorità Regionali in Europa lo fecero. In Italia soltanto due. Il Piemonte e la Campania.
Nella programmazione partita nel 2007 il Piemonte lo fece. Ricordatevi la data: 2007. Giunta Bresso. A chiunque dica che i soldi a Barriera di Milano sono stati stanziati un anno fa si allunga il naso. Sono fondi europei che la Giunta Bresso ha deciso di stanziare nel cosiddetto “obiettivo urbano” della sua programmazione regionale. Europa e Bresso. Prendete appunti per quando sentiremo dire che le periferie sono abbandonate e i soldi vengono da Monsieur Cotà. Europa e Bresso.
La Città di Torino decise di candidare Barriera: si iniziò un lungo lavoro di progettazione, analisi territoriale, individuazione delle priorità, affinamento delle procedure e delle modalità. Non preoccupatevi di quello che scrivo: è stato un lungo lavoro. Serio. Fu una scelta altrettanto seria: Barriera di Milano perché è un territorio che ne ha bisogno. Scegliere è responsabilità. Nonostante altri quartieri chiedessero risorse straordinarie, si è scelto di dare priorità alla zona nord della città e in particolare al suo nucleo storico, fragile, più ammaccato e a rischio.
Sono 25 milioni di euro a cui si aggiungono altri interventi di sostegno economico e sociale. I lavori devono terminare entro il 31 dicembre 2014: l’Europa non scherza sulle scadenze e noi lo sappiamo.
Oggi pomeriggio si inaugura la sede del Comitato Urban: Corso Palermo 122. Il luogo dove si progetta, si ascolta, si discute, si informa, si sviluppa. Una vetrina aperta e di tutti. Perché i prossimi anni avranno bisogno di tutti per cambiare la qualità della vita del quartiere.In quanto ai cetrioli, si possono trovare al Mercato di Piazza Foroni e ci interessa poco che misura abbiano. L’Europa, per quanto ci riguarda, ci ha aiutato a progettare e a realizzare futuro.