Basta risse, restiamo uniti contro chi teme il 25 Aprile: per uscire dal fango ci vuole coraggio, oggi come allora
“Mio nonno ha fatto il parmigiano”, e mi beccai la prima nota della mia vita. A sei anni una M al posto della T può tracciarti la strada per sempre. La maestra Maria Pia, staffetta partigiana prossima alla pensione, mi fece capire che su certe cose non si scherza. Io, in effetti, non avevo alcuna intenzione di scherzare: mi ero semplicemente agitata e l’assonanza era quasi perfetta. Il 25 aprile quest’anno si confondeva con la Pasquetta, o lunedì dell’angelo. Viviamo in tempi confusi e la resurrezione si può declinare in tanti modi. Per i non credenti, e per noi che siamo qui, la resurrezione civile ha un senso che prescinde. Non confonde. Come la T al posto della M: fa la differenza.
Questa è una festa civile. Sacralmente civile. Se fossimo una comunità nazionale che si riconosce nei fondamentali, sarebbe il nostro 14 luglio, il nostro 4 luglio. Se fossimo una comunità capace di fare i conti con i suoi fondamentali. Non lo siamo. Le date diventano grimaldelli per scardinare il senso di identità e appartenenza collettiva. Quest’anno abbiamo cominciato con il 17 marzo. Centocinquant’anni dopo, i rigurgiti anti-unitari tornano in gola come la peperonata non digerita e vengono alitati in faccia da chi, in realtà, usa la storia come un’arma di distruzione di massa. Non per capire, sanare, riflettere, approfondire, ma per piegarla alla cronaca politica, con il cinismo incolto di chi studia sul sussidiario delle medie e spara verità ignorando la storiografia e gli storici. Per cui capita di sentirsi fare una lezione da Monsieur Cotà, al cospetto del Presidente Napolitano, su Cattaneo come se fosse or ora stato eletto in Parlamento dalle camice verdi.
Lo stesso vale per il 25 aprile, ma qui è storia antica. Ogni anno, da un po’ di anni, la breccia è sempre più aperta. Perché il 25 aprile vuole dire Costituzione. E la Costituzione è il vero obiettivo di questa destra illiberale. Una carta che si vuole ridurre ad un triangolino di origami: utile a Giovanardi per scagliarsi contro l’Ikea ma mortificata ogni giorno su tutto il resto. Dall’articolo 1 in poi. Non parliamo del meraviglioso, avanzato, laicamente sacro articolo 3, fondamento principe di una democrazia moderna.
Noi siamo in difesa. Usiamo il verbo difendere da 17 anni. Ci stringiamo a coorte e difendiamo. Lo facciamo con tutti gli strumenti democratici di cui disponiamo. Faccio parte dei milioni di italiani che dal ’94 in poi hanno manifestato, mandato telegrammi di solidarietà ai Presidenti della Repubblica, firmato appelli, petizioni, manifesti. Hanno partecipato a marce, celebrazioni, iniziative. Hanno esposto bandiere della pace, tricolori, fucsia, arcobaleno alle finestre. Non basta. Come nelle guerre di trincea, difendere non basta. Bisogna riguadagnare posizioni, uscire nel fango in mezzo alla mischia e fare il passo del gattino per avanzare di qualche metro. Bisogna riprendersi la politica, invaderla, costruirla.
Noi siamo in difesa e da questa parte della trincea, da 17 anni. Alcuni mollano, alcuni disertano, altri dirigono le operazioni diramando bollettini che disorientano chi sta nel corpo a corpo. Spesso i generali litigano sulle strategie mentre in basso si continua a difendere la postazione. Quando si decide quale bersaglio attaccare c’è qualcuno che frena, distingue, fa la punta alla matita, si cura i suoi e si dimentica degli altri.
Non funziona. Così non funziona. Per uscire nel fango in mezzo alla mischia ci vuole coraggio, competenza, entusiasmo e fiducia. Bisogna fidarsi del generale e del commilitone. Bisogna evitare di commentare la battaglia mentre è in corso, a meno che non si sia cronisti e non si vogliano fornire strumenti per combattere meglio ed evitare gli errori, insegna Tucidide che di guerre se ne intendeva.
Non so nulla di guerre, strategie militari e tattiche militaresche. Risiko mi ha sempre annoiato e la bandiera arcobaleno è sul mio balcone da sempre. Però, a naso, penso che se i generali disorientano chi ci rimette è la truppa che, onestamente, cerca di portare a casa una vittoria sgomitando nel fango con il passo del gattino. Soprattutto quando dall’altra parte la confusione è totale, i motivi per il rompete le righe ci sono tutti e qualcuno finge di non aver mai preso parte alla mischia.
Un po’ come il 25 aprile di tanti anni fa, quando quel ragazzo tedesco rubò la bicicletta di mio nonno e cercò di farsi passare per contadino lodigiano. Non gli credette nessuno, mio nonno si riprese la bicicletta e fu festa della Liberazione. Riprendersi la politica, invaderla, aprire le porte e far entrare aria fresca: perché le date sul calendario continuino ad avere senso. Non per celebrarle, ma per viverle. Tutti i giorni, possibilmente.