ITALIANI. il mio intervento Bologna a Il nostro tempo
Ad aprile, mentre dalle nostre parti si costruiva #Sucate con molto consumo di suole, Zined, italiana con il trattino, ha scritto:
Dal 14 gennaio la vita emarginata di noi magrebini, stranieri, nord africani, extracomunitari, spazzini, universitari, operai e dottori è svanita al grido di Rivoluzione! Mi danno pacche sulle spalle, incrociando il mio velo per strada mi sorridono e da lontano mi gridano “resistete!!”. Abbiamo conquistato il nostro posto nella storia, verremo ricordati non come appartenenti al più grande movimento terroristico degli ultimi secoli, bensì come lottatori,conquistatori della più difficile democrazia e primi rivoluzionari del secondo millennio..I nostri popoli hanno fatto la storia…non noi. Io NON ho fatto la storia..NON ho rischiato il mio lavoro, non ho rischiato di essere imprigionata e imbavagliata, non ho rischiato la vita e neanche un mal di testa a forza di pensare alla rivoluzione.
Io NON ho fatto la storia del mio popolo arabo..ma sono ancora in tempo a fare la storia del mio popolo italiano
Parlare di italiani da torinese nel 150esimo significa rimettere in gioco identità, pluralità e futuro avendo chiaro che non stiamo costruendo solo una narrazione, ma dobbiamo concretamente stare in mezzo alle cose, respirarle, costruire scenari. A, B, questo subito e questo dopo. Questo prima di quello. Questo proprio no. Di quest’altro se ne può parlare.
Costruire scenari di governo dell’impossibile: come ce lo immaginiamo questo paese fra 20 anni. Come lo vogliamo.
Vi dico come lo voglio io.
Io voglio che Zined possa fare la storia del suo popolo italiano perché cittadina italiana. Voglio che Augusto la smetta di chiedersi se vale la pena convincere i suoi fratelli che anche quelli di periferia possono studiare e farcela. Voglio che Emanuele economista calabrese a 26 anni non viva il suo esilio mazziniano a Londra perché appartiene ad una Giovine Italia senza futuro ma torni a Catanzaro e faccia il più bel progetto del mondo sull’uso sostenibile delle risorse locali. Voglio che Daniele e Dario siano liberi di amarsi formalmente perché l’amore non ha mai sottratto amore, semmai lo ha aggiunto. Voglio che la nonna di Maria possa morire in pace senza chiedersi come farà, Maria, a campare senza la sua pensione. Voglio che chi viene eletto si senta orgoglioso del mandato che ha ricevuto e proprio per questo lo maneggi con cura e rispetto.
Voglio un paese che, al compimento del suo 170esimo anno, la smetta di essere così vecchio e così infantile insieme.
E sono disponibile a parlarne con chiunque se questa è l’Italia che vogliamo.
Zined, Augusto, Emanuele, Maria sono parte del Tempo che dobbiamo costruire. Quello che è adesso, e che è loro prima ancora che nostro.
Perché noi, io, non siamo giovani. La mia generazione, più vicina ai 50, è quella degli arrivati tardi. Quella che, mentre i fratelli maggiori vivevano la loro meglio gioventù, al massimo ha vissuto la sua meglio infanzia.
Noi siamo quelli che hanno celebrato i funerali senza conoscere il morto. Quelli che la legge reale ha ignorato semplicemente perché, nel frattempo, non si era ridotta la democrazia ma si era dissolta la partecipazione.
Noi siamo entrati nell’età adulta pensando che i nostri fratelli maggiori– reduci del glorioso novecento progressista – non avessero bisogno dei nostri consigli.
Mentre la società si faceva liquida, noi abbiamo assistito al liquefarsi delle classi dirigenti, senza avere il coraggio o la capacità di battere i pugni sul tavolo e dire che era ora di finirla.
Adesso siamo gente di mezza età a cui Zined, Augusto, Emanuele pongono delle domande. E la nostra responsabilità è di aiutarli a cercarle, le risposte. Nella politica, che è polis e civitas insieme. Città e cittadinanza. E cosa pubblica.
A Torino, a febbraio, 54.000 persone sono uscite di casa, hanno fatto la coda, pagato 2 euro ed hanno scelto il candidato sindaco del centrosinistra. 54.000 contro 5.000 circa. 5.000 sono gli iscritti a tutti i partiti di centrosinistra a Torino. 3.500 del PD e gli altri, a spanne, iscritti agli altri partiti. Il PD a Torino è aumentato di 6 punti: 34%. Un botto di voti. Gli immigrati con e senza diritto di voto, a Torino, sono stati determinanti nella mobilitazione: si sono spesi su un progetto politico e sulle facce di chi lo rappresentava. Hanno ignorato l’appartenenza etnica nelle liste, hanno scelto sull’offerta politica, come è normale e maturo in democrazia.
Lo facciamo un ragionamento sul potenziale di militanza, passione civile e partecipazione che, nonostante noi, il cerchio largo della nostra gente riesce ad esprimere?
Invadere i partiti del centrosinistra, e il PD in particolare, significa rimettere al centro la democrazia e la capacità di essere osmotici con la società. Osmosi, non fusione fredda. Vale poco scoprire all’ultimo momento che esiste la società civile e che bisogna includerla nei processi elettorali.
La società civile siamo noi, se sappiamo esserne specchio e amplificatore. Se siamo in grado di essere permeabili, dialettici, competenti, ricettivi. Se sappiamo essere portatori di idee, e non solo di interessi.
Poi, c’è la biologia dei corpi elettorali. Il modello Milano, per intenderci. Quel dato impercettibile e immateriale che ha messo in moto l’ironia, la spontaneità, l’auto-organizzazione, l’entusiasmo, la chiarezza. Un modello di governo della complessità.
La biologia dei corpi elettorali ci costringe a fare i conti con l’etica, il linguaggio, la credibilità, l’autorevolezza della classi dirigenti, la capacità di governare e di cercare soluzioni.
Poi, c’è la chimica. Quella del modello Macerata (perché non parlo del modello Molise, che è meglio). Quella delle alleanze, della somma degli score e delle percentuali, dei legami tra molecole.
Serve, la chimica. Figuriamoci. Se è complementare alla biologia. Perché non tiene conto del sudore, dell’umanità disorientata, dell’intelligenza degli individui e dei corpi sociali.
Non tiene conto del paradosso del calabrone che per le leggi della fisica non potrebbe volare, perché è troppo pesante per la superficie delle sue ali. Però vola lo stesso, da sempre.
Allora, facciamo una cosa. Chi è appassionato di chimica la metta a disposizione.
Agli altri, a Zined, Augusto, Emanuele, ai 54.000 delle primarie di Torino, agli immigrati senza voto e con passione civile, alla rete di uomini e donne che credono nella politica lasciamo una chance.
Facciamo che il calabrone continui a volare anche se ci spiegano che non può riuscirci.
Il 1994 è durato 17 anni.. Una lunga sospensione dalla politica: adesso, per favore, ai quei giapponesi che cercano sempre lo stesso nemico raccontiamo che la chimica delle alleanze non basta, è perdente e ci ha costretto ad una lunga stagione di alzate di spalle e di disamoramento.
Oggi, abbiamo voglia di colori. Anche noi quasi 50enni che ci siamo vestiti di grigio per non sembrare eccentrici.
I colori non piangono, sono come un risveglio, scriveva Cesare Pavese.
Diventiamo interpreti della storia che vuole scrivere Zined, e con lei Augusto ed Emanuele. Storia che ha bisogno di politica – di buona politica – per riuscire a crescere.
Senza paura, perché c’è bisogno di tutti, proprio di tutti per far volare il calabrone. Anche se non può, noi sappiamo che vola lo stesso.