21
Apr
2013
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La storia eravamo noi / noi padri e figli. L’omicidio del corpaccione e la rinascita della politica. Forse

Dedicato al compagno Brusconi. Lui sa perchè…

Nell’arco di 24 ore non è finito soltanto questo PD, schiantato e ridotto in macerie dall’insipienza e dalla siderale supponenza di una classe dirigente inadeguata e mediocre. Insieme all’ultima forma di organizzazione della politica del 900, quella che abbiamo costruito e amato malgrado i suoi enormi difetti, è stata bombardata una visione antropologica e politica che in questi anni tristi ci ha permesso di continuare a pensarci padri e figli, appartenenti ad una stessa visione del mondo. Lasca, larga, post ideologica ma pur sempre una stessa visione del mondo.
Milioni di cittadini e cittadine italiane dal 94 in poi hanno vissuto la costruzione dell’alternativa al berlusconismo come impegno prima che politico sociale, civile, individuale e collettivo.
Abbiamo somatizzato, sofferto, militato pensando che tutti fossero d’accordo. A partire dai nostri dirigenti: da Violante a D’alema a tutti gli altri. Magari incapaci, inefficaci ma sicuramente da questa parte. Con noi e i nostri Mal di pancia. Ammalati di politicismo, certo. Ma alternativi a quel modello di politica, di società, di visione del mondo.
Milioni di cittadini di questo paese hanno sofferto la maledizione della Fata Dispettosa: essere di sinistra, appassionati di politica, militanti in vario modo nel corpo biologico della societa.
Abbiamo cambiato linguaggi e forme di organizzazione della politica. Perchè essere militanti significa provare ad interpretare il cambiamento.
Perchè tra le maledizioni della Fata Dispettosa non c’è solo il nascere di sinistra ma anche profondamente riformisti, maledizione ancora peggiore.
Perchè non ti accontenti della testimonianza, perchè non sopporti i radicalismi di chi sta alla finestra. Perchè provi a capire le ragioni degli altri, pensi che non sia giusto salvarti l’anima stando a guardare ma entri nelle contraddizioni, provi a cambiare, ti ci metti con testardaggine a capire cosa fare. Ti prendi gli insulti di tutti ma stai in mezzo, dentro, a disposizione.
Siamo in tantissimi cosi: siamo quella parte di militanti della Storia-Siamo-noi che alla maledizione della Fata Dispettosa ne hanno aggiunta un’altra: stare dentro ai partiti della sinistra. Convinti che la parola centrosinistra aggiungesse ricchezza e pluralismo.
Ne parlo al plurale, perchè ne abbiamo cambiati tanti pur non avendo cambiato mai classe dirigente. PCI-PDS-DS-PD. Il filotto del cambiamento che tiene legate alcune generazioni, che ne ha incontrate altre lungo la strada, che è stato dentro tutte le trasformazioni con Mal di pancia, entusiasmo, senso critico, rabbia. Ma accumunati da una sindrome: lealtà alla classe dirigente, lealtà ai processi democratici, lealtà al Partito.
Anche se minoranza (e io dalla svolta della Bolognina in poi lo sono stata): si sta dentro, si discute, si agisce per il cambiamento ma le rotture non vanno bene. Non si demolisce, si costruisce.
Perchè il partito, la sua forma collettiva, è più importante del destino di ciascuno di noi. Questo tiene insieme i volontari delle Feste dell’Unita, i giratori di salamelle, quelli che spendono il loro tempo volontario nelle sezioni. Quello che tiene insieme segretari di circolo della Val Sesia con sindaci di paesi di 1000 abitanti che con il gettone non si pagano nemmeno la bolletta del telefono. Amministratori locali, dirigenti diffusi, militanti semplici.
Il corpaccione, come viene definito anche con un po’ di disprezzo da chi quella storia non l’ha conosciuta.
Lo zoccolo duro che si trangugia qualsiasi stronzata, che si arrabbia ma alla fine non rompe.
Il corpaccione tuttosommato è conformista – perchè ammalato di idealismo insensato – e riconosce sempre ai suoi dirigenti una marcia in più. Quello che “D’Alema è il più intelligente che abbiamo, la Bicamerale un errore ma fatto in buona fede” .
Il corpaccione si è assottigliato, in questi anni. Un po’ per ragioni anagrafiche, un po’ per asfissia. Però è quello su cui hanno contato i dinosauri insipienti.
Sul corpaccione si può contare, perché fondamentalmente è stupido. Abbastanza buono,anche se percorso da miserie e picolezze, ma molto stupido.
Io la sindrome del corpaccione ce l’ho, malgrado tutto. Malgrado il mio assoluto e talvolta insopportabile senso critico alla fine, dentro, nascosto tra pancreas e fegato, sono stata un pezzo di corpaccione.
Frequentartice di eterodossi, mai soddisfatta e mai felice di stare dentro. Arrabbiata, critica, libera dalle logiche di appartenenza. Ma riconosco che, in fondo, la logica del corpaccione stupido non solo la capisco ma ce l’ho dentro.
Razionalmente lo so da tempo che è una sindrome stupida. Però i riflessi un po’ ci sono: non per fedeltà ma per lealtà. Per formazione, per storia. Come quando vieni educato a mettere le mani davanti alla bocca quando tossisci: crescendo puoi anche pensare che è una regola stupida, ma la mano scatta comunque. Riflesso di Pavlov, educazione sentimentale: chiamatela come volete. Chiedo scusa, non chiedo neppure le attenuanti generiche.
La sindrome del corpaccione, altrimenti detta sindrome de PCI, c’è e tanti di noi ce l’hanno avuta.
Fino a ieri.
Ieri, in 24 ore, è stato ammazzato il corpaccione. Si è rotto l’incantesimo della Fata Dispettosa: ci siamo finalmente liberati da questa patologia psicosociale. Restano macerie, orfani che vagano piangendo sulle rovine. Case distrutte, sofferenza, rabbia.
Adesso può succedere di tutto: predoni che piombano per rubare gli ultimi beni, confusione, paura. Solitudine. Frammentazione identitaria: ognuno rinchiuso nella sua casamatta pronto ad espellere chi non è proprio consanguineo. Auto cannibalismo, figli che uccidono i padri anche quando sono innocenti. Perche ce ne sono di padri innocenti, cosi come ci sono figli colpevoli.
Si può fare la fine del mercurio: un colpo e mille frammenti che si disperdono. In questo scenario post-bellico, già vissuto da questo paese, la precarietà, la rabbia e il conflitto sociale continueranno a mietere vittime. Ma nessuno si assumerà la responsabilità di fare qualcosa.
Oppure. Oppure. Oppure siamo liberi.
Liberi di riaggregarci, di non guardarci in cagnesco.
Liberi di pretendere un’idea di partito moderno, progressista, laico e di sinistra che tenga insieme le differenze. Finalmente usciti dalla fusione fredda degli ex, che era il peccato originale del PD come l’abbiamo conosciuto. Liberi dai dinosauri perchè finalmente abbiamo capito (siamo stupidi, ricordatevelo) che non è vero che pensano alla sopravvivenza del nostro ecosistema anche se in modo goffo ma usano le loro code pesanti per ammazzare tutto quello che si muove intorno a loro e non gli appartiene.
Liberi e arrabbiati: finalmente disponibili a dire “le salamelle giratele tu”. Anzi: le salamelle fanno schifo e restano sullo stomaco. Come voi, che non riusciamo piu a digerire. Liberi di cambiare classe dirigente e non di cambiare nome al partito.
Il PD è roba nostra, di tutti. Elettori, militanti, iscritti, dirigenti diffusi. Che arrivano da tante storie diverse ma non sopportano piu la logica degli ex. Quelli che ex non sono mai stati semplicemente perchè non erano nati. Quelli che le battaglie le fanno con le spalle dritte e di fronte. Che non si accorderebbero mai con chi ha distrutto questo paese. Che se ne sbattono della chimica delle alleanze, del cinismo di bassa lega, degli accordicchi umilianti. Quelli che trovano semplicemente insostenibile un Governo politico con il PDL. E si strappano i capelli capendo che è quello che una parte di dirigenti del PD voleva da subito, a dispetto del risultato del 25 febbraio. Quelli che non capiranno mai lo strappo fatto proponendo Marini, il siluramento vigliacco del padre nobile del PD Romano Prodi. Quelli che sentono rumore di gatti che si arrampicano sui vetri sul non voto a Rodotà. Quelli che hanno smesso di credere a tutte le scemenze e sanno benissimo che ad affossare Prodi non sono stati i renziani, i civatiani, i neoeletti passati con le primarie. Non c’è due senza tre: anche questa volta Prodi non è stato fatto fuori per inesperienza. Anzi.
L’ultima occasione, quella della libertà e della ricostruzione. Siamo tanti, siamo di più. Le macerie ci sono, ma chi ha bombardato non combatteva la nostra guerra. Ci proviamo? Nulla da perdere se non l’onore. E, quello, lo stiamo perdendo per conto terzi.

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