A proposito del #giornoDelRicordo
Ci sono cresciuta, con la memoria dell’esodo dall’Istria.
Nella mia famiglia antifascista quella memoria è stata costitutiva di identità.
E’ la memoria della nonna istriana da generazioni – nata austrungarica nel 1914 – vittima dell’invasione fascista che ricordava nitidamente.
E’ quella del nonno toscano spedito ragazzino con la famiglia al confino a Fiume, a metà degli anni 20, vittima del Regime che reprimeva e isolava gli oppositori (il bisnonno ferroviere socialista, attivista del Biennio Rosso e per questo purgato, bastonato e mandato nella frontiera d’oriente per isolarlo dai compagni di lotta). Vittima nel contempo degli istriani che non amavano quei “regnicoli degli italian”, anche se antifascisti.
E’ la memoria dei Lucich e dei Crevatin – la famiglia istriana – dispersi nella diaspora dell’esodo dopo il ’45 tra Trieste e Gorizia, vittime di Yalta, dei confini della Guerra Fredda e dell’essere minoranza di lingua italiana in una terra in cui stavano da sempre e in cui da sempre erano a casa.
La memoria dei confini che separano, allontanano e tagliano radici.
Sono cresciuta con i racconti dei pomi croccanti dei meleti di Buje, delle filastrocche in ungherese, dei ciottoli bianchi del Quarnaro e di quel mare dell’Est da cui arrivavano i marinai da oriente per portare sete e spezie. Con l’istroveneto parlato stretto dalle donne della famiglia per non far capire ai bambini i segreti dei grandi, perché “i fjoi non deve saver tuto”.
Con gli occhi verdi e gli zigomi alti delle donne istriane che mi porto addosso.
Ma anche con la vergogna ed il silenzio di una storia dimenticata, usata, rimossa o strumentalizzata. Che ha reso una memoria collettiva fatto privato, familiare. Fatto di racconti, sassi bianchi da tenere in tasca, fotografie sbiadite e sospiri della nonna e delle sue amiche per quella bellezza abbandonata e mai più rivista.
Sono cresciuta ascoltando le discussioni dei grandi sul perché dell’oblio. Con una famiglia che ha sempre votato socialista e comunista, che ha coltivato la memoria familiare detestando l’uso fascista di quella storia. Ma non capendo però la rimozione della sinistra di quella storia.
Con la curiosità di noi bambini per quel muro che separava Gorizia da Nova Gorica, vicino alla casa della zia dove passavamo sempre alcuni giorni di vacanza.
Portarsi dentro i confini fa crescere con la consapevolezza che le vittime non sono mai colpevoli, che la storia non si ferma davanti ad un portone e che il dovere della memoria serve a interpretare il presente.
Crescere attraversando i confini insegna a vedere le sfumature. E a non strumentalizzare, mai, le vittime