“Siamo… siamo fottuti”. Suggerimenti di letture per condividere pensieri
Ho letto molto in questi giorni.
Consiglio quattro libri che, letti tutti insieme – pur con angoli di lettura molto diversi- disegnano una parziale ma articolata lettura del mondo (e dei compiti/responsabilità che noi appartenenti alla “sinistra mondiale1” dovremmo porci con urgenza. E siamo in ritardo di almeno 30 anni).
Sono analisi e punti di vista che si tengono insieme e indicano, anche, quale strada dovremmo prendere. E quale, invece, stiamo catastroficamente prendendo.
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Stephen Smith, Fuga in Europa, la giovane Africa verso il vecchio continente, Einaudi (a breve la mia recensione su L’indice dei libri), un saggio di geografia umana che, guidato dalla razionalità dei dati, affronta la complessità della cosiddetta “crisi migratoria” mettendo in discussione l’efficacia e la lungimiranza della risposta della Fortezza Europa.
“mi è spesso accaduto di pensare ad un’Africa che beneficiasse di tutte le energie che oggi si mobilitano per girarle le spalle. A cosa assomiglierebbe?”, conclude
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J. Coe, Middle England, Feltrinelli – 25 anni dopo la Famiglia Winshaw, Coe ci consegna un affresco molto british degli avvenimenti che scuotono la società britannica dal 2010 al 2018: otto anni cruciali nel segno della leadership di Cameron, delle rivolte sociali, delle Olimpiadi, degli attentati e, infine, del referendum sull’Europa con il suo esito inatteso e incomprensibile – per le élite – ma piuttosto prevedibile se solo si fosse auscultata la pancia della società britannica fuori dalle élite e dal cosmopolitismo urbano.
“-Siamo fottuti
– prego?
– siamo completamente e irrimediabilmente fottuti. E’ un caos. Corriamo di qua e di là come polli decapitati. Nessuno ha la più pallida idea di quello che sta facendo. Siamo… siamo fottuti”
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P. Graziano, Neopopulismi, perché sono destinati a durare, Il Saggiatore – affrontando in modo analitico il cd. Populist Zeitgeist (lo spirito del tempo populista) degli ultimi decenni, Graziano analizza le diverse espressioni dei cosiddetti “neopopulismi” europei e americani in relazione a:
il concetto di popolo – Popolo-sovrano: dimensione potestativa – richiama la dimensione del potere e della sovranità (il governo del popolo per il popolo) – Popolo-classe: dimensione economica – richiama la tradizionale distinzione tra élite economica e ‘proletariato’ – Popolo-nazione: dimensione identitaria – richiama l’appartenenza ad una comunità più o meno immaginata che esclude l’estraneo/straniero
proprio perchè le definizioni di popolo e populismo possono variare, Graziano distingue
- il Populismo inclusivo (‘di sinistra’) (Podemos, Syriza, Die Linke, in parte i Labour di Corbyn) vs.
- il populismo esclusivo (di destra’) (da Fidesz in Ungheria alla Lega di Salvini in Italia passando per i movimenti di estrema destra scandinavi, dell’Europa centro Orientale, francesi etc.)
che variano rispetto a: a) sfera politica – procedure decisionali b) sfera materiale – lavoro e politiche sociali c) sfera simbolica – fonte di legittimazione.
Molto interessante è l’utilizzo di questa matrice concettuale per analizzare tutti i movimenti/partiti populisti europei. Sottolineo che quelli esclusivi (di destra o estrema destra) cominciano con fortune alterne ad emergere negli anni ’90 e comunque prima dell’esplodere della grande crisi del 2008. Hanno avuto tempo (25 anni) per costruirsi egemonia culturale. E noi non lo abbiamo visto, capito, analizzato, contrastato e combattuto fino a quando la febbre alta non è esplosa
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Mark Lilla, L’identità non è di sinistra: Oltre l’antipolitica, Marsilio. Mark Lilla insegna storia alla Columbia University e si definisce “liberal e di sinistra” nell’accezione americana del termine.
Il suo punto di attacco è la concezione individualista della politica che ha interessato sempre più quelle che chiama “le forze politiche progressiste” dimentiche delle dimensioni collettive, individuate come oppressive e talvolta conservatrici. A partire dalla metà del secolo scorso, man mano che si sviluppava e radicava l’opulenta cultura dei consumi, ha guadagnato centralità quella che chiama “la politica identitaria”; ovvero “un fenomeno egoriferito e antipolitico” che, come dice chiaramente, “non è di sinistra né liberal, anche se i democratici, purtroppo, sono caduti nella trappola”.
Lilla ci dice che la sinistra ha guadagnato l’egemonia solo quando ha costruito una visione ambiziosa del futuro che coinvolgesse tutti, costruendo immaginari universali (negli Usa di Roosevelt “si rendeva credibile un’America in cui i cittadini erano coinvolti in una impresa collettiva il cui scopo era proteggersi a vicenda dai rischi, dalle difficoltà e dalla soppressione dei diritti fondamentali”. Una missione le cui parole d’ordine erano ‘solidarietà’, ‘opportunità’ e ‘senso del dovere’.”).
“per la prima volta a memoria d’uomo noi liberal non abbiamo un avversario ideologico degno di questo nome. Perciò è fondamentale gettare lo sguardo al di là di Trump. I soli avversari che ci restano siamo noi stessi. E siamo maestri nell’arte dell’auto-sabotaggio.
La terribile verità è che non abbiamo una visione politica da offrire al paese e il modo con cui pensiamo, parliamo ed agiamo lo impedisce”.
Vale negli USA ma vale, a maggior ragione, per la sinistra europea, aggiungo.
Quando riuscirò a rendere dicibile il fil rouge che lega queste letture ne scriverò. Per ora cerco qualcuno che li abbia letti e abbia voglia di discuterne.
1Uso il termine “sinistra” per convenzione. Più precisamente dovremmo parlare di noi che apparteniamo a quella parte degli abitanti della terra che credono nelle democrazie inclusive, nella redistribuzione della ricchezza e l’attenuazione delle diseguaglianze su scala globale. Detta a spanne e a maglie larghe. Che implica anche essere radicalmente critici sul modello di sviluppo attuale, ma nello stesso tempo ostinatamente visionari per immaginare – e raccontare- una visione di società futura. Globale, nel 2050. Globale: perché non c’è salvezza nelle piccole patrie. Sono solo tanto rassicuranti perché rimandano ad una comunità immaginaria. Falsa e immaginaria. A cui noi contrapponiamo ben poco, in termini emozionali, emotivi, di prospettiva.
La sinistra dell’800/900 – in tutte le sue forme parcellizzate e complesse- era profondamente populista. Dando a questo termine l’accezione di popolo-classe e non di popolo-nazione, secondo la definizione di Graziano. Quella sinistra, che affondava le sue radici ideologiche e teoriche nel XIX secolo, era globale quando ancora gli stati nazione si massacravano.
Quella sinistra, oggi, non c’è più e non c’è ancora: capace di disegnare scenari globali in un contesto globale. Cambiato e in cambiamento velocissimo. Bisogna allineare il pensiero al presente, studiarlo e ripensare alle categorie di interpretazione del mondo. Capire da che parte si sta e chi si rappresenta, su scala mondiale. Riattualizzare le categorie classiche aumentando la scala. Superando l’idea eurocentrica (così scriveva Camus abbandonando il Partito Comunista Francese negli anni ’50) di universalizzare il proletariato come categoria astratta, senza capacità di riconoscere le diversità culturali e storiche come parti della costruzione di quel proletariato. (La grande dis/illusione degli immigrati dalle colonie in Francia, negli anni delle indipendenze e della repressione. Partiti pensando di essere proletari ed arrivati come immigrati dalle radici negate)