21
Apr
2011
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Un MiTo contro la paura: se Milano si mette a suonare la stessa musica di Torino

Circa un anno fa i riflettori mediatici si accesero sui fatti di Via Padova, a Milano. Vi ricordate? Un ragazzo di 20 anni, egiziano e clandestino, morto accoltellato per strada. Non mi soffermo sulla tragedia infinita di un ragazzo morto – non un egiziano: un ragazzo morto, un ragazzo di Milano – perché sulle tragedie non si specula. Si sta zitti, si rispettano i morti e, soprattutto, si deve avere la consapevolezza che drammatici fatti di cronaca possono avvenire ovunque.

Mi soffermo invece sulle reazioni della politica meneghina: «Fuori i clandestini», gridò l’indomito leghista Salvini. «Basta con il buonismo della sinistra», affermò il Vice-sindaco della Paura De Corato, dimenticandosi che a Milano sono circa 20 anni che la sinistra non tocca boccino. Il sindaco Moratti attaccò il Ministro della Paura Maroni accusandolo di eccessivo lassismo. Si parlò di Via Padova per un po’, usando il frasario pulp che si usa in genere: ghetto, Bronx, quartiere multietnico che nella Padania che non esiste è sinonimo di peste, colera, epidemia. Il Ministro della Paura replicò che le periferie urbane hanno bisogno di progetti sociali. Poi si corresse affermando che «è fallita l’integrazione». Fatta da chi, come e con quali risorse non si sa. Insomma: confusione, strumentalizzazione, cattivismo inutile.

Il Partito Democratico di Milano, le molte associazioni di Via Padova, la società civile, organizzarono alcune occasioni di confronto con Torino. E mi è capitato di andarci, in Via Padova, a discutere su come affrontare i temi della sicurezza, dell’integrazione, della rigenerazione urbana. Perché sono temi difficili, che riguardano tutte le grandi città ed è davvero miope cedere all’isteria e alla strumentalizzazione.

La prima cosa che mi ha colpito è stata la reazione di chi vive da quelle parti: la maggioranza non invoca pulizia etnica, croci bianche sulle porte delle case, caccia agli immigrati che vivono in Via Padova. Chiede politiche pubbliche e chiede di non essere lasciata sola. Chiede di incontrare almeno un Assessore, se non proprio il Sindaco. Scrive al Questore perché interceda con l’Amministrazione per avere un incontro. Si organizza da sola promuovendo feste, animazione, doposcuola, corsi di lingua. Spesso con l’ostilità palese dell’Amministrazione Pubblica.

Ecco, questo mi ha davvero colpito. In una zona come quella di Via Padova (simile a zone urbane presenti in tutte le grandi città) l’unica, visibile presenza delle Istituzioni è quella delle Forze dell’Ordine, che si assumono anche il compito di intercedere con l’Amministrazione Locale affinché venga a conoscenza dei problemi. Quando le associazioni di via Padova decisero di illuminare la via con gli auguri di Natale in tutte le lingue, l’Assessore al Decoro Urbano negò il  permesso al grido “non è un ghetto”, e poi cambiò idea. D’altronde una città che nel 2015 ospiterà l’Expo mondiale deve farsene una ragione: il dialetto meneghino non è ancora lingua universale.

A nessuno di noi è mai successo di essere informati dalle Forze dell’Ordine dei focolai di tensione e fatica della nostra città.. E’, eventualmente, sempre successo il contrario: le istituzioni lavorano in modo cooperativo e complementare. Ciascuno deve fare la sua parte.  E noi cerchiamo, con fatica e umiltà, di fare la nostra: investendo in politiche di integrazione, in gestione pacifica dei conflitti, in educativa territoriale, in politiche giovanili, in centri di aggregazione e sportivi che siano alternativi alla strada per tutti i ragazzi di Torino, indipendentemente dal luogo dove sono nati. Investendo risorse, sempre più scarse e difficili da trovare, e intelligenza collettiva per evitare che le scintille diventino fuochi, e poi incendi. Investendo, anche, la nostra  faccia e il nostro tempo per star dentro ai problemi.

Intendiamoci: in tutte le grandi città il rischio di episodi violenti c’è. Ci sono zone complicate, tensioni e difficoltà. Non sempre è possibile evitare l’esplodere di tensioni. La differenza sta nella risposta pubblica ai problemi. C’è chi sceglie di spengere i fuochi con le taniche di benzina. Altri, “i buonisti”, che affrontano i problemi cercando soluzioni a vantaggio di tutti. A Torino non si prega in mezzo alla strada, non ci sono le rivolte in periferia, non c’è Via Paolo Sarpi senza prospettive e soluzioni, non ci sono i cittadini attivi mortificati. Ci sono i problemi e si cercano le soluzioni.

Per questo è importante che a Milano il 15 maggio succeda qualcosa che vale per i milanesi ma vale per tutti. E’ importante per svelare il trucco del cattivismo di maniera che non risolve i problemi, li acutizza e ci rende un po’ più barbari. Tutti. E’ importante per tirare il fiato in questo Nord incupito dalla crisi economica, dalle parole che incendiano, dall’insipienza di chi finge di essere la soluzione e di fatto è il problema.

Poi, pensate che bello sarebbe mettere in contatto il Comitato delle Sedie di zona Bligny a Milano con le sedie azzurre di Largo Saluzzo o con quelle di San Donato che abbiamo contribuito a dipingere.  Un gemellaggio di sedie, per riappropriarsi delle città e sconfiggere la paura. Un MiTo, questo sì. Il 15 maggio. È possibile.

(Per sapere tutto sulle sedie di San Donato: http://www.comune.torino.it/circ4/cultura/2010/accomodatiasandonato.html.
E su quelle di Largo Saluzzo:
http://sunsalvario.blogspot.com/2011/04/rassegna-stampa-san-salvario-sono.html).

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